Vorrei riuscire a non provare niente

28 Aprile 2022

Vorrei riuscire a non provare niente!

Non avrei mai pensato di scrivere questa lapidaria frase, ma in questi ultimi mesi la sorte mi è avversa e vorrei tanto non sentire nulla, non avere sentimenti, non provare emozioni, se così fosse allora non sentirei il rumore delle mie inquietudini, dei ragionamenti che sto facendo giorno e notte per cercare di dare un senso alla mia vita e inevitabilmente alla mia malattia.

Vorrei tralasciare il cancro, ma la mia vita è accompagnata da lui e dipende dal suo andamento. Quando ricevi una diagnosi di tumore al seno metastatico comprendi anche che la parola “guarigione” sarà bandita dal vocabolario. Vi garantisco che è una situazione molto diversa rispetto a quella che si ritrova a vivere una persona malata di cancro al seno non metastatico. Non intendo affatto sminuire la situazione delle pazienti che affrontano un cancro al seno non metastatico, tutt’altro: quello che intendo sottolineare è la diversità delle due situazioni. Diversi sono i sentimenti, diversi i problemi, diverso il significato delle parole “speranza”, “futuro”, “progetto”.

Non serve che io rimembri il fatto che non si muore di cancro al seno, ma si muore per le metastasi del cancro al seno.

Undici anni fa ero ancora una ventenne un pò incosciente, ma con tanta speranza, con sogni grandi, con una luce negli occhi che mi faceva credere in una vita migliore, in un futuro pieno di luce e colori, in relazioni autentiche. La mia vita non era semplice, era abitata da quelle difficoltà che vivono tutti i giovani laureati in materie umanistiche, amanti delle lettere, dei libri, dell’arte, della creatività. Erano gli scogli che affrontano quasi tutti i normali ventenni. Vivevo in una condizione di stallo e precarietà, ma stavo tenacemente cercando un posto nel mondo che si addicesse alla mia persona. Ero conscia della necessità di scendere a compromessi, ma nonostante le fatiche, gli stipendi sempre miseri, le difficoltà economiche, avevo grandi speranze, convinta che mi attendessero molte scoperte, avventure, conoscenze, esperienze, viaggi e soprattutto tante ed intense amicizie, tanto amore e tanti amori.

Oggi mentre scrivo sorrido, anzi rido, perché mi rendo conto di quanto fossi esageratamente ottimista verso il futuro ed ancora non consapevole che anche le relazioni, le amicizie possono deluderci ed affliggerci.

Quando il cancro si è palesato ero ancora ignara della sua gravità, ci sono voluti anni prima che venisse diagnosticato. A ventisette anni mi dissero che la situazione era molto delicata ed era necessario intervenire urgentemente per cercare di gestire una malattia già molto avanzata a livello “loco-regionale”. Non si trattava di un nodulino, ma di multipli noduli, di linfonodi gonfi e metastatizzati.

La prima volta che sentii un nodulo dolorante sotto l’ascella era l’anno 2008, l’anno della diagnosi nero su bianco è stato il 2011. Io sono convinta che se avessero fatto un agoaspirato quel nodulo sarebbe risultato malato già nel 2008, ne sono certa perché lo vedevo e sentivo crescere di mese in mese. Quella malattia non era qualcosa di esterno come un virus o un batterio, ma era cresciuta dentro di me. Erano le mie cellule ad essere impazzite. Una sorta di autosabotamento? Non lo so, cerco di affidarmi alla scienza ed alle evidenze scientifiche. Quel che è certo è che il cancro è formato da cellule interne al nostro corpo.

Comunque avevo affrontato quell’anno di chemioterapie, interventi, radioterapia, con l’umore alto e tanta speranza. Ero certa che sarebbe stata solo una parentesi della mia vita.

Dopo anni di recidive ed interventi a fine 2018 la diagnosi di cancro metastatico. Uno stop, un click nella mia mente, tutti i sogni si sono frantumati e dentro di me ho sentito un rumore rabbioso, travolgente, netto: una rottura definitiva, qualcosa di irreversibile.

IRREVERSIBILE.

Iniziai l’anno 2019 con uno schiaffo mordace, ma non persi l’energia per sperare ancora.

Dentro di me permaneva quella voglia di resistere, di restare ancorata alla vita con tutte le mie forze. Ho perso i capelli ancora una volta proprio quando avevo avuto il coraggio di farli crescere lunghi e forti. Prima li ho persi a causa della radioterapia all’encefalo e poi a causa della chemioterapia. Ho fatto tutto quello che i medici mi hanno proposto, seguito attentamente ogni consiglio, ogni singola terapia. Non mi sono mai lamentata, se non nel silenzio della notte, senza emettere alcun suono con la mia voce.

Sono trascorsi tre anni, il mio intervallo più lungo libero da malattia, un traguardo da festeggiare con quel vino che oramai non bevo più perché mi fa stare male.

Proprio sulla soglia di questi tre anni si è ripresentata la malattia, me ne sono accorta da sola, terminate le festività natalizie, dopo essere stata tre giorni a Livorno ad errare per le strade di quella città portuale che tanto mi ha affascinato; molti non scorgono la sua bellezza, ma io ho apprezzato moltissimo il porto, il mare, terrazza Mascagni affacciata su un mare tormentato, esposta ad una parte di cielo a cui non avevo mai dedicato la mia attenzione.

Il nodulo che ho sentito quella sera mentre ero sul divano era già una nuova diagnosi per me, violenta e furiosa, ancora una volta netta: recidiva di cancro al seno in paziente metastatica.

Ripercorro nella mente questi cinque mesi per arrivare all’oggi dominato da una decisione difficile da prendere: sottopormi ad una chemioterapia forte, già fatta undici anni fa, per pulire il mio corpo da cellule tumorali invisibili, ricominciare tutto di nuovo o aspettare?

Sono informatissima sulla mia malattia, sugli esami istologici, sulle mutazioni del cancro, sulle terapie, sui protocolli. So di avere davanti altri protocolli per il futuro, altri farmaci, ho la speranza che la ricerca proceda velocemente e che anche l’immunoterapia possa curarci. Al momento è ancora troppo presto anche se il Professor Maio a Siena sta facendo un ottimo lavoro con la sua equipe.

Sono in un limbo in cui impera la rabbia.

Per la prima volta non accetto serenamente l’iter che mi è stato prospettato. Non sto deponendo le armi, sto riflettendo.

Ammetto che in un primo momento, solo a sentire nominare quella chemio mi viene la nausea. È denominata EC: epirucibina e ciclofosfamide, più il gioco si fa duro più i farmaci sono impronunciabili, ma io li ricordo bene: echeggiano nella mente durante i miei risvegli notturni: epirubicina, capecitabina, taxotere, paclitaxel, gemcitabina, carboplatino, metotrexato, navelbine, fluororacile…

Conosco molte donne giovani con cancro al seno non metastatico che si sono sottoposte a chemioterapia neoadiuvante, ossia prima dell’intervento per ridurre la massa tumorale. Molte di loro, quasi tutte, hanno visto sparire completamente il cancro. Indubitabile l’efficacia della chemioterapia, ma nel mio caso le cose undici anni fa erano andate diversamente: c’era stata un lieve riduzione del nodulo più grande, era diminuito di un centimetro, ma i linfonodi erano tutti in metastasi ed avevo anche una micrometastasi nell’altra ascella. Quello che si chiama “un bel casino”.

Oggi paradossalmente la mia preoccupazione è rivolta più a quell’anno che al presente, temo per quella situazione. Mi rendo conto che le pene che pago oggi vengono tutte da là. Il fatto che la chemioterapia non avesse agito in maniera efficace all’epoca pesa sul mio presente instabile. Sembra che me ne renda conto solo ora, o forse sto solo vivendo un momento di sconforto.

Oggi ho trentotto anni e da undici, quasi dodici anni, convivo con questa malattia e con le terapie. Negli ultimi tre anni mi sono recata in ospedale ogni tre settimane per l’infusione di un anticorpo monoclonale. Ci credevo, speravo che la malattia fosse docile, addomesticata, invece è ritornata anche se in un posto strano e in una forma diversa da quella che i medici si sarebbero aspettati. L’istologico ha evidenziato un’altra mutazione, riassumendo e semplificando: il cancro sta giocando a nascondino e sta lottando contro le terapie, è diventato furbo perché più i farmaci lo aggrediscono più lui si rinforza e cambia forma in modo tale da rendersi irriconoscibile alle cure. Non amo utilizzare la metafora della guerra quando si parla di cancro, ma ammetto che questa metafora si addica perfettamente alla tale malattia. Io cerco di resistere e di non parlare di battaglia, di armi, di guerrieri, ma questo gioco a nascondino del tumore non fa che riportare la mia mente all’immagine di un conflitto armato veemente, furioso, spregevole e riprovevole come la guerra.

Inutile fare piani, inutile riflettere troppo, la vita ti stupisce sempre. Tutti i miei ragionamenti sono perlopiù inutili.

“L’esistenza non è mai ciò che vorrebbe essere” J. Paul Sartre

Ho scritto, ho pianto, ho gridato, ho pensato: “perché a me?”, “perché ancora?”, “non basta il prezzo che ho pagato?”, “la vita è ingiusta!”, “cosa ho fatto di male?”…, ma asciugate le lacrime la rabbia permane ed insieme ad essa la paura più grande: quella di morire.

Nello stesso tempo però mi chiedo che senso abbia vivere una vita piena di limiti, di dolori, di medicine e di sogni buttati nel cesso!

Forse la vita deciderà da sé o forse sarò io ad avere il coraggio di fare la chemio o di rifiutarla. Non so ancora se serva più coraggio per farla o per rifiutarla. Qual è il prezzo da pagare più alto? Una vita spezzata dalla morte o una vita spezzata dalle terapie?

Ho già rinunciato a molte cose, mi sono già rassegnata a condurre una vita che non ho scelto io. Se farò questa chemio vorrò essere davvero convinta che ne valga la pena, che i benefici siano maggiori rispetto ai rischi.

Bisogna tenere conto che devo ragionare in prospettiva, pensando a quando e come la malattia si ripresenterà visibilmente. La cura che accetto oggi è una terapia in meno domani.

Terminato il mio lamento giungo a quel pensiero che mi accompagna sempre: le mie compagne di sventura. Le chiamo compagne perché sono più che amiche, le chiamo “di sventura” perché il cancro è una sfiga. Sto leggendo pagine e pagine di libri sul cancro, scritti da oncologi, da pazienti, da professori autorevoli, da sociologi, da filosofi, ma ancora non ho trovato quel senso che tanto mi affanno a cercare. Ancora non è dato sapere quale sia la causa del cancro al seno, del cancro al polmone, della leucemia, dei linfomi… Sì perché il cancro non è uno, sarebbe assolutamente fuorviante trattarlo come tale. Sono tante malattie diverse, anche per quanto riguarda il cancro al seno, ad esempio, ci sono molte malattie. Sono tutti diversi, ognuno ha una propria “carta d’identità” e paragonare la mia storia a quella di un’altra persona sarebbe errato.

Oggi una mia compagna ha iniziato un nuovo ciclo di chemioterapia ed il mio pensiero è stato sempre rivolto lei. So come si sente, non posso non essere preoccupata per lei, non provare empatia, non desiderare di fare qualcosa per sollevarla dai pesi che la malattia e le cure portano con sé. Mentre io mi affanno per prendere una decisione molto importante lei non ha il privilegio di poter scegliere.

In un certo senso nemmeno io, ma ho la fortuna di non sapere ancora dove e quando la malattia riapparirà anche se so che prima o poi lo farà. Non è questione di ottimismo o pessimismo, è realismo.

4 commenti

  1. Ho letto il tuo post tutto d’un fiato e mi è montata tanta di quella rabbia…😡
    Neanche tu devi smettere di arrabbiarti, guai a te se ti rassegni o perdi la speranza. Scrivi, piangi, incazzati, spacca cose, fai qualsiasi cosa ti permetta di sfogarti, ma non arrenderti. Mai. So che da questa parte è facile parlare, che bisognerebbe stare da quell’altra parte per capire, ma alla domanda che ti fai “ne vale la pena?” la risposta deve essere sempre: sì!
    Forza!!! Ti abbraccio fortissimo!❤️

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