Costi quello che costi

Non scrivo molto ultimamente perché sto dedicando tutto il tempo libero allo studio ed alla lettura. Mi sono presa una pausa dai Social. Non è stata una decisione meditata, è solo l’esito naturale di una serie di circostante e di avvenimenti.

A volte rifiutiamo ciò che appare scontato ed ovvio e non ci accorgiamo che forse la chiave per aprire nuove porte sta proprio là, dove c’è quell’ovvio che volutamente ignoriamo.

Ho scelto di non forzarmi più a fare nulla, di non trattenere le persone che non vogliono stare al mio fianco, di non continuare ad investire energie in attività che non amo o per le quali non ho alcun riconoscimento.

Sono stata consapevole per anni della bellezza e preziosità della vita, ma tutto ciò è banale se non è motivato e se non lo richiamiamo attraverso un’esperienza di vita o una narrazione sincera. Vorrei andare oltre l’immaginario del malato di cancro che ha miracolosamente scoperto che la vita ha un valore inestimabilmente.

Non è tutto così semplice, la realtà è molto più complessa e chi sta affrontando chemioterapie, interventi chirurgici o terapie sperimentali lo sa bene.

La malattia è un avvenimento della vita di una persona, ma non è la sua vita.

Ogni individuo malato di cancro è una persona e non è semplicemente un numero da aggiungere ad altri, una foto da scorrere veloce sui social, un profilo iscritto ad uno dei mille gruppi sul cancro.

Mi sono stancata delle narrazioni continue sul cancro, sulle terapie, sulle cicatrici… Questa è sicuramente una realtà importante della malattia, ma non è l’unica.

I gruppi per me sono stati e sono importanti perché ho imparato molte cose, ho appreso svariate nozioni ed ho avuto informazioni estremamente utili. Ad esempio è grazie ad un gruppo Facebook di donne malate di cancro al seno metastatico che ho avuto il contatto con l’istituto neurologico Besta presso il quale sono stata operata nel gennaio 2019. Non mi stancherò mai di ricordare che grazie al neurochirurgo la metastasi è stata completamente asportata e che l’esame istologico ha fornito molti dati utili per delineare il piano terapeutico. Oggi non sarei in ospedale a fare la 27esima infusione di Trastuzumab.

La vita social però non basta perché esaurito lo scambio di informazioni e di pensieri senti l’esigenza di un abbraccio, di un conforto personale, non pubblico, non esplicitato in un post che aleggia nel Web.

Quello scambio umano a volte mi è mancato, come l’aria.

Ho stretto amicizie importanti ed autentiche grazie alla malattia ed alla condivisione di esperienze, gioie, dolori, terapie e la piccola associazione Unitesipuò onlus è una delle prove di questi rapporti che durano da 10 anni.

Ultimamente voglio volare via dall’immagine sociale della malata di cancro che sta combattendo una dura battaglia. Suvvia, tutti abbiamo le nostre battaglie personali, non serve essere malati per questo.

È vero che sto combattendo, ma non contro il cancro, sto facendo a pugni contro le mie paure. Prima tra tutte quella di non farcela a raggiungere degli obiettivi, dei desideri. Dentro di me avviene anche un’altra lotta, di pari livello alla prima, ed è quella contro l’invisibilità. Anzi contro il dolore provocato dall’invisibilità, infatti mi sento spesso invisibile, inutile.

Spente le luci resto solo io, consapevole dell’autenticità dei rapporti più stretti: con la famiglia, col mio compagno e con pochissim* amic*.

Il resto del mondo corre veloce ed io lo vedo offuscato. Ho assistito inerme e con gli occhi lucidi a tanti arrivi e a tante partenze, ma ho capito che tutto ciò fa parte della vita.

Mi sento però invisibile ed inutile, ho la sensazione che la malattia sia diventata un’etichetta, come se il contributo che la mia persona possa apportare alla società nel suo complesso fosse nullo.

Quindi mi sono chiesta come si sentono altre persone nella mia situazione. Da una parte mi sento in colpa perché sto bene rispetto a tante altre persone. In fin dei conti sto ancora facendo terapie, ma sono tollerabili ed il periodo delle chemioterapie è stato sicuramente peggiore. Dovevo fare ogni settimana due iniezioni sulla pancia si “fattori di crescita” per aumentare i miei globuli bianchi inesistenti. Il corpo non ha sempre reagito bene, anzi, spesso si è ribellato. In quel periodo avevo perso ancora i miei lunghi capelli ed in testa avevo pochi capelli ed una cicatrice. Odiavo tutti gli specchi.

Oggi mi sento più libera e fortunata, e ovviamente i capelli sono l’ultima cosa importante, ma non sono privi di significato: i capelli sono un mezzo per sentirmi meglio, per darmi forza e soprattutto per sentirmi meno invisibile, meno malata, meno sfigata. Per questi motivi mi sento anche in colpa verso chi sta affrontando momenti più difficili e vi garantisco che sono davvero fortunata rispetto ad altre persone.

Non mi sono mai piaciuti i confronti, soprattutto in ambiti così delicati come quello della salute. Ho sempre rigettato con fermezza le opinioni di chi dice di sentirsi più fortunato rispetto a chi sta peggio ed ora sono proprio io a cadere in questo gioco banale.

Ammetto di essere felice per le mie attuali condizioni di salute. Anche se sono imminenti alcuni esami di controllo: tac, risonanza etc… in questo momento mi sento serena. Le cose magari cambieranno e sono consapevole di questo, ma non mi preoccupo prima del previsto.

Nonostante questa serenità sento che però per la società non sono sana e quindi automaticamente rientro tra coloro che non potranno mai progredire negli studi o nel lavoro. Mi sento etichettata e mi sento emarginata.

Non voglio lasciarmi vivere, adagiarmi e nascondermi dietro la maschera della sfigata.

Sono consapevole del linguaggio poco aulico che sto usando in questo articolo, ma sento il bisogno di essere schietta, diretta.

Potrei scrivere a lungo quanto io odi la finzione, quanto sia avversa alla rete ad alle cattive informazioni che talvolta circolano, quanto male mi faccia sapere che le persone si ricordano di te solo quando hai postato una foto su Facebook…

Tutti questi lamenti non porterebbero da nessuna parte, forse incrementerebbero la solitudine di tutti noi.

Ho riflettuto e sto riflettendo molto perché sento l’esigenza di comunicare col mondo, ma non voglio indossare la maschera della malata di cancro che scrive della sua malattia, che posta foto di flebo, di port, di cicatrici, di ospedali.

Credo ci sia una certa morbosità verso tali tematiche.

Questo blog è un diario condiviso perché sono certa che chi scrive lo fa per comunicare ed io sento forte questo bisogno.

Quindi non voglio nascondermi, continuerò a stare distante dai social perché voglio dedicare il mio tempo ad altre attività e alle persone in carne ed ossa, ma ho promesso a me stessa che cercherò di mantenere una continuità nel blog e che non lascerò i miei pensieri chiusi nel cassetto.

Non ho nulla da insegnare, ma solo molto da imparare. Per questo condivido la mia esperienza, la mia scelta di vita: per motivi di salute e per altri motivi personali ho deciso di chiedere il part time al lavoro e da qualche mese lavoro solo di mattina.

Una serie di circostanze si sono intrecciate tra loro in un modo così armonico da farmi credere che in fin dei conti esista davvero qualche forza invisibile che si occupa di noi, qualche angelo custode che si prende cura di noi. Infatti gli avvenimenti si sono incastrati così bene da rendermi semplice una decisione che aleggiava nella mia testa da anni: essere di nuovo una studentessa universitaria.

Quando mi ammalai dieci anni fa avevo programmato la mia vita in base al sogno di diventare insegnante di storia e filosofia. Il mio desiderio si materializzava nella mia mente e mi vedevo intenta a leggere e commentare le opere di Aristotele, di Kant, di Marx, di Sartre, di Simone De Beauvoir con gli studenti di un liceo classico. Mi ha sempre incuriosito l’antichità, da piccola ero affascinata dal fatto che si potessero leggere opere complete e chiare risalenti anche ad 8 secoli prima di Cristo. La mia vera passione però è la filosofia.

Non voglio assolutamente cimentarmi in un’apologia della filosofia, ma non posso negare di essere spesso oggetto di scherno e derisione a causa dei miei studi considerati privi di valore, non scientifici (cosa intendono per scienza coloro che mi deridono?), pure disquisizioni sul nulla, insomma totalmente inutili.

Quello che vorrei davvero gridare a squarciagola è che non dobbiamo avere paura di inseguire un sogno, non dobbiamo farci bloccare dai timori, dall’età, dai problemi economici.

Confesso che se non fossi stata costretta dalla mia salute a diminuire l’orario di lavoro non avrei preso la decisione di studiare ancora, ma forse il caso mi ha aiutato e dato una spinta.

Sono stata aiutata anche economicamente infatti non pago le tasse universitarie in quanto invalida al 100%.

Non è semplice e sto rinunciando a molte cose, sto centellinando i miei soldi, sto trascorrendo molti fine settimana sui libri, ma sono serena. Mi viene tutto naturale, non devo fare alcuno sforzo, è una fatica utile. So che non sto buttando via il mio tempo a prescindere da quello che potrebbe capitare domani.

La verità però nasconde anche qualcosa di doloroso ed io non voglio nasconderlo: non riuscirei più a lavorare otto ore al giorno come una persona “normale” e ammetterlo mi fa stare male. Ho 37 anni e dedicarmi ad un progetto di vita è complicato. Potrei lasciarmi soffocare dalla sofferenza, ma mi sono stancata di farlo. Accetto questa situazione di vulnerabilità ed accetto di non essere una donna in carriera o una madre in grado di accudire i suoi figli.

Forse per la società non sarò nulla, ma a quasi 40 anni ho la forza per inseguire un piccolo sogno apparentemente insignificante e non mi interessa più il pensiero degli altri. Se una nostra scelta non ha ripercussioni negative sugli altri allora possiamo affrontarla con serenità e crederci fino in fondo nonostante tutto!

Questo è un piccolo esempio, la vera lezione di vita che mi ha fatto emergere dal buio in cui ero immersa riguarda la determinazione, la forza, il coraggio di sentirsi sicuri di se stessi e di perseguire un obiettivo costi quello che costi.

Viva la vida!

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